No, non tutto, o almeno questo è ciò che, a dispetto del suo nome, implica la teoria della relatività di Einstein. Nel post di oggi voglio parlarvi del rapporto tra realismo e scienza moderna, in particolare tra il realismo e la teoria della relatività di Einstein. Ho deciso di affrontare questi argomenti oggi per due motivi, il primo è che la teoria Einsteiniana è recentemente salita agli onori della cronaca con la notizia della scoperta di un possibile errore nelle misure dell'esperimento OPERA (qui il link a un post dedicato a chi volesse approfondire). Queste sembravano indicare l'esistenza di neutrini viaggianti a velocità superiori a quella della luce, fatto che rimetterebbe in discussione uno degli assunti fondamentali di questo pilastro della fisica moderna. Il secondo è che si avvicina il 14 marzo, giorno in cui ricorre l'anniversario della nascita del grande scienziato, avvenimento che voglio ricordare con un post a lui dedicato.
Il significato della teoria della relatività è proprio l'opposto dell'affermazione "tutto è relativo", anzi, si potrebbe dire che la teoria di Einstein è la "teoria degli assoluti". Gli assoluti della teoria sono due; c (la velocità della luce) e soprattutto l'invarianza delle leggi della fisica. Nella teoria della relatività tutto si basa, infatti, sul presupposto che la luce viaggi sempre alla stessa velocità e che le leggi fisiche debbano rimanere le stesse in qualunque sistema di riferimento. E' proprio grazie a questi "assoluti" della teoria che due osservatori posti in due sistemi di riferimento differenti possono concordare sulle caratteristiche di un fenomeno che hanno osservato pur avendolo "visto" in due modi differenti. Sulla base di questa possibile "equivalenza tra diverse osservazioni" si fonda l'"universalità" delle leggi della fisica. Ed è proprio questa universalità che ci porta a ritenere che le leggi con cui la fisica descrive il mondo riflettano una realtà comune sottostante alle diverse osservazioni di qualunque osservatore. Non è però della realtà che percepiamo quotidianamente con i nostri sensi che stiamo parlando. Quella, come ci mostrano le neuroscienze, è in gran parte inconsciamente "ricostruita dal nostro cervello" sulla base degli stimoli dei sensi e come tale è tutt'altro che assoluta e, a volte, illusoria (questo risulta evidente nel caso delle illusioni ottiche di cui si parlava in questo post). Va detto, comunque che il nostro cervello si è evoluto proprio in modo da permetterci di avere una rappresentazione intuitiva abbastanza buona del "mondo esterno". Almeno tanto buona da permetterci di agire in maniera efficace su di esso; solo così un cervello e l'intelligenza avrebbero potuto garantire un vantaggio adattivo premiato nel corso dell'evoluzione. L'intelligenza e il metodo scientifico però ci permettono di andare oltre le nostre impressioni sensoriali e di analizzarle criticamente. Grazie alla costante dialettica tra esperimento ed elaborazione teorica, la scienza ci permette di conoscere quelle strutture invarianti (che Giuliano Toraldo di Francia chiamava "nodi invarianti"), che sono la base comune che "sta dietro" e unifica le diverse esperienze soggettive. Per far capire cosa intendo voglio citare una questione spesso considerata nell'ambito della discussione filosofica sul realismo; quello dell'albero che cade nella foresta.
"Se cade un albero nella foresta, senza che ci sia nessuno ad ascoltare, fa rumore?"
Questa è una domanda più ambigua di quel che potrebbe sembrare e, per questo, può avere più risposte valide. Se attribuiamo al rumore "così come noi lo sentiamo" una essenza in sé, come vorrebbe un "realismo ingenuo", tipico del senso comune, la risposta è no perché il rumore è qualcosa di intrinsecamente legato alla presenza di un ascoltatore. Se invece cerchiamo di vedere la questione "scientificamente", intendendo il rumore come una nostra rappresentazione mentale di qualche cosa nel "mondo oggettivo", nello specifico, un'onda di pressione; allora si, l'albero fa rumore (nel senso che l’onda sonora effettivamente si propaga anche in assenza di un osservatore cosciente ad ascoltarla!).
Neanche la meccanica quantistica, a differenza di come, a volte, si sente affermare, mina gli "assoluti" della teoria di Einstein o il concetto stesso di realtà fisica. Questa si limita a rendere necessario un ripensamento del rigido determinismo del meccanicismo ottocentesco aggiungendovi un aspetto probabilistico. Nonostante ad Einstein non piacesse l'idea di una natura che "gioca a dadi" oggi sappiamo che al suo livello più intimo la realtà fisica ha proprio un carattere di intrinseca casualità e le sue leggi sono probabilistiche. Il problema dell'interpretazione filosofica della meccanica quantistica (come si era già detto in questo post) è molto complicato. L'interpretazione di Copenhagen della meccanica quantistica viene spesso vista come soggettivista (e quindi in contrasto all'idea dell'esistenza di una realtà oggettiva). Nella sua formulazione classica l'interpretazione di Copenhagen potrebbe apparire tale perché tira necessariamente in ballo un osservatore cosciente. Questo punto però è sempre più problematico anche dal punto di vista scientifico oltre che filosofico. Alla base di questa interpretazione c'è la necessità da parte della comunità scientifica, molto pressante nei primi anni dello sviluppo della teoria quantistica, di "bypassarne" le stranezze filosofiche per concentrarsi completamente sui suoi aspetti scientifici e matematici. Questo stesso approccio è esemplificato dalla frase "zitto e calcola", attribuita a Feynmann, riguardo all'atteggiamento che un fisico avrebbe dovuto avere nei confronti della meccanica quantistica. Questo atteggiamento, che certo pecca di superficialità filosofica, sta diventando sempre meno popolare. Infatti, negli ultimi anni, diversi fisici teorici stanno affrontando il compito di riformulare la meccanica quantistica in modo "indipendente dall'osservatore" sfruttando la teoria dell'informazione. Un esempio di questo tipo di tentativi di formulazione della teoria quantistica è la "meccanica quantistica relazionale" formulata nel 1994 dal fisico teorico italiano Carlo Rovelli.
L'estremo relativismo conoscitivo (che è tutt'altra cosa rispetto al "relativismo etico" contro cui di tanto in tanto si scaglia la chiesa) insito nella popolare affermazione "tutto è relativo" suggerisce che non esista una realtà oggettiva. Accettando questa idea tutte le forme di conoscenza hanno lo stesso valore e quindi non c'è opinione più "valida" di un altra. Questo porta a una svalutazione del valore conoscitivo - culturale della scienza stessa. E' così che certi ambienti intellettuali ostili alla scienza cercano di usare gli stessi architravi della fisica moderna (meccanica quantistica e relatività) per delegittimarla. Tale delegittimazione, oltre che infondata, è pericolosa quando il progresso culturale, economico e della qualità di vita sono legati a doppio filo a quello scientifico.
Con buona pace di chi sostiene il contrario quindi la maggioranza degli scienziati resta convinta che "la realtà" esista o, parafrasando il titolo dell'ultimo libro del grande Enrico Bellone, ci sia "qualcosa, là fuori". In questo senso voglio concludere con una citazione proprio di Einstein a questo proposito:
"C'è qualcosa come "lo stato reale" di un sistema fisico che esiste obiettivamente, indipendentemente da ogni osservazione o misurazione e che in linea di principio si descrive con i mezzi di espressione della fisica (quali mezzi di espressione e, di conseguenza, quali concetti fondamentali si debbono utilizzare al riguardo... è cosa che secondo me ancora non si conosce). Questa tesi sulla realtà non ha il senso di un enunciato chiaro in sé, a causa del suo carattere "metafisico". Ha soltanto il carattere di un programma".
Qui sotto potete vedere un interessante video documentario di Piergiorgio Odifreddi su Einstein e sulle implicazioni filosofiche del suo lavoro. Consiglio particolarmente la visione della seconda parte dove vengono trattati proprio gli argomenti discussi in questo post (linko qui le parti 2,3,4,5,6 del video). Già che siamo in tema filosofico, prima di lasciarvi alla visione del documentario, voglio ancora porvi una domanda; vi siete mai chiesti quale sia la vostra "visione del mondo"? Se seguite questo blog è probabile che siate arrivati alla conclusione di averne una "naturalistica". In questo caso vi consiglio di visitare il sito del movimento "The Brights", nato negli Stati Uniti proprio allo scopo di riunire quelle persone che condividono una visione del mondo e un'etica naturalistica. Potete arrivare alla pagina del movimento anche cliccando sul banner in basso a destra (ebbene si, questo è un "Bright site" ;)).
Altro argomento molto interessante (tu mi vuoi vedere morto.... ;)), ma sono ancora addentro al mind upload sul forum di lifext quindi per ora no, grazie XD
RispondiEliminaTi riconfermi uno dei blog piu' interessanti sulla piazza intanto ;)
Grazie! ;)
EliminaLoL... quando avrò tempo allora magari mi leggerò come è proseguita la discussione su Lifext!
Non so se me la sento di consigliartelo xD Ha dimensioni notevoli anche per i miei standards xD
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