In questo post voglio condividere con voi alcune mie riflessioni personali su riduzionismo, olismo e sistemi complessi.
Si sente spessissimo, negli ambienti culturali più diversi, criticare fortemente il riduzionismo (cioè la posizione epistemologica che vede le proprietà di qualunque sistema fisico come riconducibili a quelle dei suoi componenti elementari) che viene proposto come qualcosa di superato ed in qualche modo “riduttivo” in contrapposizione con l’olismo (la posizione filosofica basata sull'idea che le proprietà di un sistema non possano essere spiegate esclusivamente tramite le sue componenti). Prima di sparare a zero sul riduzionismo ricordiamoci, però, che il riduzionismo è sempre stato ed è tutt’oggi al cuore del metodo scientifico; se la scienza moderna è arrivata al livello di sviluppo attuale lo si deve a metodi d’indagine di tipo riduzionista che hanno pervaso i più diversi campi del sapere, a partire dalla fisica fino alla chimica ed alla biologia (basti pensare al fantastico sviluppo della biologia molecolare). Io penso che la contrapposizione tra olismo e riduzionismo, così come viene spesso presentata, sia fittizia. Quando si vogliono studiare scientificamente le proprietà di un sistema, ad una prima, necessaria, fase di analisi in cui si studiano le proprietà elementari del sistema, segue una fase di sintesi in cui le proprietà appena determinate sono utilizzate per spiegare alla loro luce le proprietà globali del sistema. Questo è vero anche nella più rigidamente riduzionista delle impostazioni di ricerca (riduzionismo non significa trascurare l'importanza dell'organizzazione dei sistemi!). E’ così che funziona l’indagine scientifica ed è questo che, generalmente, si intende come “spiegazione scientifica di un fenomeno”.
Prendendo da wikipedia, il nucleo centrale del pensiero olista è il concetto di comportamento emergente, così definito (tratto da P. Anderson, “More is different”, Science Vol. 177, No. 4047. 1972):
Il comportamento emergente di sistemi complessi … [ha luogo quando] … emergono proprietà inspiegabili sulla sola base delle leggi che governano le sue componenti, scaturenti da interazioni non-lineari tra le componenti stesse.
A mio parere però l’utilità operativa della parola “inspiegabile” è quantomeno scarsa nella ricerca e spesso apre la porta ad interpretazioni quasi “mistiche” del concetto di complessità che ben poco hanno di scientifico. Da questa definizione segue la seguente definizione di sistema complesso:
Un sistema complesso è un sistema che manifesta proprietà non prevedibili sulla base di quelle delle proprie parti (sic!).
Nessuno nega che sistemi abbastanza “complicati” possano manifestare comportamenti emergenti; di questi comportamenti parliamo spessissimo in questo blog e forse il più spettacolare è proprio quello che si manifesta come conseguenza della dinamica del complicatissimo sistema fisico che è racchiuso nella nostra scatola cranica, il cervello. Ciò che voglio contestare è invece la definizione “olista” di comportamento emergente, molto popolare, riportata sopra. Penso che una versione un pò più "riduzionista”, maggiormente “utile” e calzante di comportamento emergente e sistema complesso potrebbe essere:
Il comportamento emergente di sistemi complessi ha luogo quando emergono proprietà non semplicemente spiegabili sulla sola base delle leggi che governano le sue componenti, scaturenti da interazioni non-lineari tra le componenti stesse.
Da cui può seguire questa definizione di sistema complesso (tratta dall’articolo di Dominique Chu “Complexity: Against Systems” pubbicato nel 2011 su Theory in Biosciences; una rivista scientifica di biologia teorica):
Un sistema complesso è un sistema composto di parti interconnesse che manifesta proprietà non ovvie a partire dalle proprietà della sue parti individuali.
Questa definizione mi pare particolarmente buona in quanto sottolinea a dovere l'importanza delle interconnessioni tra le parti, e, quindi, dell'organzizzazione del sistema, pur non peccando di un eccessivo "anti-riduzionismo", come quella riportata più sopra (che sminuisce ingiustamente l'importanza delle proprietà delle parti costituenti). Va detto, inoltre, che due tra i principali strumenti teorici della così detta “scienza della complessità” sono la meccanica statistica (che affonda le sue radici nella termodinamica) e le simulazioni numeriche. Ciò che si fa applicando questi metodi è proprio risalire, a partire dalle proprietà elementari di un sistema, a quelle globali, emergenti, questo grazie alla conoscenza di come queste sono organzizzate ed interconnesse tra loro; a ben vedere questo è proprio un “trionfo” del riduzionismo, non certo il contrario.
Credo proprio che per il futuro della scienza non sia saggio ripudiare il riduzionismo, come sembra che alcuni, tra i quali anche diversi uomini di scienza, vogliano fare. In proposito voglio citare una frase (decisamente riduzionista! ;) ) di Leon Lederman, premio nobel per la fisica, che riporto liberamente dalle pagine del suo libro “The God Particle: If the Universe Is the Answer, What Is the Question?” (dal cui titolo è nato il soprannome “particella di Dio” per il bosone di Higgs):
"Se tutta la conoscenza scientifica fosse spazzata via in un attimo dalla faccia della Terra e dovessi scegliere un solo concetto scientifico da lasciare all’umanità per indirizzarla nella ricostruzione di una conoscenza del proprio mondo, questa sarebbe la teoria atomica; che l’universo al suo livello più fondamentale è costituito da atomi, unità elementari che interagendo in base a poche, semplici regole, danno origine a qualunque fenomeno possiamo osservare. Da questo concetto sarebbe possibile ricostruire tutto quel maestoso “edificio intellettuale” che è la scienza moderna."
(Nell’immagine in alto a sinistra è riportata una stampa della “Papera di Vaucanson”; un simbolo del riduzionismo meccanicista che animava l’illuminismo settecentesco che, nell'ambito delle scienze biologiche, si opponeva al vitalismo di stampo idealista).
Ho apportato alcune modifiche a questo articolo rispetto alla versione pubblicata originariamente, nel tentativo di rendere più chiari alcuni passaggi che, rileggendo, mi sembravano un po’ oscuri... Come al solito commenti, domande e opinioni sono gradite! :)
RispondiEliminaPer proseguire il discorso, sottoscrivo in pieno le parole del grande fisico ungherese Albert-László Barabási, pioniere della scienza delle reti, che, in un interessantissimo articolo di presentazione di questa nuova e promettente disciplina da lui stesso inaugurata, (disponibile gratuitamente a questo indirizzo - http://www.nature.com/nphys/journal/v8/n1/pdf/nphys2188.pdf -)dice:
RispondiElimina"Le voci riguardo alla morte del riduzionismo sono grandemente esagerate. Il riduzionismo è così radicato nel pensiero scientifico che se, un giorno, una qualche forza magica dovesse farcelo dimenticare di colpo bisognerebbe prontamente reinventarlo."
Nel resto del suo articolo Barabási sottolinea comunque l'importanza di porre sempre più attenzione al ruolo delle interconnessioni tra le parti dei sistemi che si studiano, soprattutto in quelle discipline, come le scienze biologiche, che stanno diventando sempre più ricche di dati sperimentali.
Nessuna "ideologica" e netta contrapposizione Riduzionismo - Anti-riduzionismo quindi.
Credo che si debbano fare delle distinzioni: intanto si può intendere un olismo come visione olistica della realtà, in cui si ritiene, più o meno fideisticamente, che tutti i componenti dell’universo siano in qualche modo interconnessi, non interconnessi in gruppi ma proprio tutti; è riassumibile nel verso del poeta inglese: non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella. Poi si può parlare di metodo olistico di indagine in cui si dà priorità allo studio delle connessioni fra le parti di un sistema e anche alle connessioni con gli altri sistemi che formano l’ambiente circostante: questo è ben discusso in medicina (curare non la malattia ma il malato cioè considerare non solo l’organo malato ma anche gli altri organi e l’organismo tutto e le relazioni con l’ambiente…). E poi si può ancora parlare di olismo quando si vuol intendere che lo studio “riduzioni stico” di un sistema, oltre un certo livello, non è utile per capire quel sistema: siamo “tutti” d’accordo che le caratteristiche dei sistemi biologici alla fin fine derivino dalle proprietà degli orbitali del carbonio e dell’azoto, ma per studiare il comportamento di una popolazione di carnivori predatori non è necessari rifarsi ad essi (anzi…). E c’è anche chi dà all’olismo un significato misticheggiante o religioso, chi sfrutta il concetto per scrivere articoli e libri e ricavarne in qualche modo un vantaggio…. e vabbé, al mondo c’è di peggio!
RispondiEliminaComunque un Post Stimolante.
E' vero, sicuramente c'è di peggio! ;) ..anche se dispiace sempre quando questo succede! Comunque hai ragione, olismo è un termine usato con accezioni molto diverse e, di conseguenza può, a volte, risultare un po' ambiguo. Il punto centrale del mio post voleva comunque essere che, nel mio modo "galileiano" (credo abbastanza condiviso) di intendere il riduzionismo tutta questa contrapposizione "metodologica" con l'olismo non c'è. Per studiare con successo un sistema devi considerarne tutte le caratteristiche rilevanti per ciò che ti stai proponendo di fare (e quindi considerare tutte le interazioni interne ed esterne al sistema che hanno effetto sulla sua dinamica).
RispondiEliminaA proposito...Grazie per l'intervento! :)
Io quando avevo studiato il meccanicisimo (la papera) mi ero trovata molto d'accordo con quella teoria. Ora, era solo un abbozzo, però la sentivo molto più tranquillamente giusta di vari deliri su essere e non essere. Questo tuo post spiega bene la teoria riduzionista (o la pratica, visto che la usano tutti i giorni ^^) e io continuo a trovarmi d'accordo. Yay!
RispondiEliminaGrazie! Già, a chi lo dici! ;) Comunque la papera è bellissima non credi? XD
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